Sinner-Vavassori




Il mio primo ricordo di Alberto Sinner risale all'estate del 1990, quando vidi le sue opere esposte alla Galleria Civica di Trento. All'epoca avevo poco più di vent'anni e studiavo storia dell'arte all'università. Sinner era già un artista affermato, ma io ero completamente estraneo al suo lavoro.

Quelle opere mi colpirono profondamente per la loro forza espressiva e la loro spietata sincerità. Sinner dipingeva l'uomo nella sua nuda verità, senza edulcorazioni o ipocrisie. I suoi personaggi erano spesso sofferenti, alienati, fragili. Ma c'era anche una profonda umanità nelle sue opere, una sorta di compassione per la condizione umana.


Da quel giorno, Sinner è diventato uno dei miei artisti preferiti. Ho seguito la sua carriera con interesse, ho visto le sue mostre e letto i suoi libri. E più conoscevo il suo lavoro, più lo apprezzavo.

Sinner è stato un artista coraggioso e controcorrente. Non ha mai ceduto alle mode o alle pressioni del mercato. Ha sempre seguito la sua voce interiore, anche quando questa lo portava su sentieri solitari.

L'opera di Sinner non è facile. Non si tratta di quadri da appendere in salotto per fare bella figura. Sono opere che costringono a riflettere, che mettono a nudo le nostre paure, le nostre fragilità, le nostre contraddizioni.


Ma è proprio in questa spietata sincerità che risiede la grandezza di Sinner. Egli ci mostra l'uomo nella sua nuda verità, senza edulcorazioni o ipocrisie. E lo fa con un amore profondo e una compassione infinita.


Sinner è morto nel 2017, ma la sua opera continua a vivere e a parlarci. Ci parla della condizione umana, delle nostre fragilità, delle nostre speranze. Ci parla di bellezza e di dolore, di vita e di morte.

E ci ricorda che, nonostante tutto, vale sempre la pena di vivere.